L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà (o di un altro diritto reale) a titolo originario che, ai sensi dell’art. 1158 c.c., si realizza attraverso il possesso esercitato pubblicamente (cioè non in modo clandestino) continuato, pacifico ed ininterrotto per almeno vent’anni.
E’ pacifico che si possa usucapire un bene di proprietà altrui, sul quale in origine non si vanta alcun diritto.
Tuttavia è legittimo domandarsi se un singolo comproprietario possa anche usucapire l’intera proprietà di un bene in comproprietà con altri.
Il nostro ordinamento (art. 1102 e seguenti c.c.) consente al comproprietario di usare e godere della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso.
Il semplice uso esclusivo di un bene in comproprietà è presupposto sufficiente ai fini dell’usucapione?
La risposta è negativa, in quanto l’uso esclusivo da parte di uno dei comproprietari può essere tollerato dagli altri partecipanti alla comunione e, anche se prolungato per oltre vent’anni, non consente, di per sé, di acquistare la piena proprietà in assenza di ulteriori elementi.
Presupposti e orientamenti giurisprudenziali
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito quali siano i presupposti affinché si possa configurare l’usucapione del bene comune da parte del comproprietario:
- Possesso esclusivo “ad excludendum” → il comproprietario deve esercitare un controllo sul bene come se fosse l’unico proprietario, escludendo di fatto gli altri comproprietari. L’uso esclusivo deve essere accompagnato da comportamenti oggettivamente incompatibili con la possibilità di godimento altrui del bene (ad esempio: cambiamento delle serrature senza consegna delle chiavi agli altri contitolari; recinzione del terreno e conseguente impedimento di accesso ad altri).
- Volontà di possedere come proprietario esclusivo (c.d. “animus possidendi”) → il possesso deve essere esercitato dal comproprietario “uti dominus”, cioè con l’intenzione di comportarsi come unico proprietario, manifestando la volontà di escludere gli altri contitolari. La volontà di possedere in via esclusiva può esprimersi anche implicitamente, tramite comportamenti concludenti, ma la sua manifestazione deve essere riconoscibile e non equivoca. Tale elemento soggettivo distingue l’uso esclusivo tollerato dagli altri comproprietari, dal possesso ad usucapionem.
- Decorso del termine di vent’anni → il termine ventennale per usucapire inizia a decorrere dal momento in cui si verifica un atto, conoscibile dagli altri comproprietari, che segni l’inizio del possesso esclusivo. Non è necessaria una vera e propria interversione del possesso (ossia il mutamento della mera detenzione in possesso), in quanto il comproprietario possiede già pro quota il bene. Tuttavia, occorre comunque un mutamento della qualità del possesso: da naturale estrinsecazione del diritto di comproprietà, a possesso “sine titulo” di tutto il bene.
Sul punto, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 30765 del 6.11.2023 ha ribadito la necessaria sussistenza dei predetti presupposti, stabilendo che “il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso “ad usucapionem” e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui”.
Usucapione in caso di comunione ereditaria
Le medesime regole si applicano anche alla comunione ereditaria, che si instaura tra i coeredi prima di addivenire alla divisione dell’asse ereditario.
Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 32413 del 3.11.2022) “il coerede rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, però, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, risultando a tal fine insufficiente l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune”.
Un’ulteriore conferma si rinviene nella sentenza della Cassazione n. 3493/2024, ove viene sottolineata l’importanza, in contesti familiari, di un comportamento che esprima in modo chiaro la volontà di possedere tutto il bene, accompagnato dalla conoscibilità da parte degli altri eredi.
Conclusione
Il nostro ordinamento consente al comproprietario di usucapire l’intero bene comune ma tale possibilità rappresenta un’eccezione rispetto alla normale disciplina della comunione.
In questi casi la giurisprudenza impone un rigoroso accertamento: il comproprietario che intende usucapire l’intero bene comune deve fornire prova di:
- aver di fatto escluso gli altri comproprietari;
- aver posseduto il bene per oltre vent’anni come se fosse il proprietario esclusivo, manifestando chiaramente agli altri contitolari la propria intenzione.
Inoltre, ai fini della decorrenza del termine ventennale, è necessario che il compossesso tipico della comunione muti in possesso “ad excludendum”, ovvero che il soggetto che intende usucapire adotti comportamenti incompatibili con la contitolarità altrui.