Le distanze tra le costruzioni edilizie

Tra i limiti alla proprietà privata assume particolare importanza la disciplina in tema di distanza tra le costruzioni, contenuta sia nell’art. 873 c.c. che nell’art. 9 del D.M. 1444/1968.

La previsione codicistica stabilisce che tra le costruzioni deve essere mantenuta una distanza non inferiore a tre metri, su fondi anche non contigui. Tale regola generale ammette deroghe da parte dei regolamenti comunali locali, ma solo per distanze maggiori e mai per distanze minori di tre metri.

È bene precisare che le prescrizioni contenute nei piani regolatori (oggi Piani di Governo del Territorio) e nei regolamenti edilizi comunali non sono suscettibili di essere derogate in quanto dirette alla tutela di interessi pubblici in materia urbanistica e quindi, come tali, inviolabili.

Di contro, la norma sulle distanze di cui all’art. 873 c.c., essendo dettata a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli e volta unicamente ad evitare intercapedini antigieniche, può essere derogate mediante convenzione tra privati (Cass. Civ., Sent., Sez. 2, n. 5016/2018).

Esistono distanze minime per le diverse zone omogenee?

L’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 individua le distanze minime tra fabbricati distinguendo tra le diverse zone territoriali omogenee:

  • Zona A per i centri storici nella quale le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti;
  • Zona B per i nuovi edifici ricadenti in altre zone nella quale è prescritta una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
  • Zona C nella quale tra pareti finestrate di edifici antistanti la distanza minima è pari all’altezza del fabbricato più alto.  La norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.

A seguito dell’introduzione dell’art. 5, comma 1, lett. b-bis), L. n. 55/2019, nella zona C) si applicano gli ulteriori limiti di distanza tra fabbricati previsti nei commi 2 e 3 del medesimo articolo 9 e, nello specifico:

  • le distanze minime tra fabbricati, tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli, debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

– ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;

– ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;

– ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa.

Si precisa che sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche.

La disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444/1968 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici “costruiti per la prima volta” e non dunque edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse (Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 settembre 2017, n. 4337).

Proprio con riferimento alle disposizioni contenute nell’art. 9 in tema di pareti finestrate la giurisprudenza ha chiarito che:

a) il dovere di rispettare le distanze stabilite dalla norma sussiste indipendentemente dalla eventuale differenza di quote su cui si collochino le aperture fra le due pareti fronti stanti (Consiglio di Stato 11 giugno 2015, n. 2861);

b) la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e edifici antistanti è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente o che si trovi alla stessa altezza o ad altezza diversa rispetto all’altro (Cass. Civ. Sez II, 1 ottobre 2019 n. 24471);

c) la regola della distanza tra le costruzioni si applica non solo alle nuove costruzioni, ma anche alle sopraelevazioni di edifici esistenti (Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5756).

d) la distanza minima di dieci metri fra pareti finestrate deve essere rispettata anche in caso di interventi di recupero dei sottotetti a fini abitativi (Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 settembre 2020 n. 5466).

Come chiarito da una recentissima pronuncia del Consiglio di Stato, “la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è prescritta esclusivamente per le “altre zone” diverse dalla Zona A, mentre per gli edifici situati nel centro storico (Zona A) trova applicazione il limite generale di tre metri dettato dall’art. 837 c.c.” (Consiglio di Stato, Sentenza, n. 7604/2022).

Si può derogare, con una convenzione tra privati, la distanza minima prevista tra costruzioni stabilita nei regolamenti locali e dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968?

Sul punto è di recente intervenuta la Cassazione chiarendo che “in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi, essendo dettate – contrariamente a quelle del codice civile – a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non sono derogabili dai privati: di qui l’invalidità – anche nei rapporti interni – delle convenzioni stipulate fra proprietari confinanti le quali si rivelino in contrasto con le norme urbanistiche in materia di distanze” (Cass. Civ., Sez. II, Ordinanza, n. 27373 del 08/10/2021).

Anche il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7029 del 19 ottobre 2021 ha confermato che la disposizione contenuta nell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 che prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, ha carattere inderogabile trattandosi di norma imperativa che predetermina in via astratta e generale le distanze tra costruzioni. Tali distanze perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva e non già la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione che, invece, viene assicurata dalla disciplina posta dal codice civile (in senso conforme Consiglio di stato, sentenza, n. 3710 del 10.06.2020).

La giurisprudenza amministrativa che si è espressa sul punto ha chiarito che gli strumenti urbanistici non possono adottare norme in contrasto con il limite minimo prescritto dal D.M. n. 1444/1968 atteso che quest’ultimo ha efficacia di legge e le sue disposizioni sui limiti inderogabili di distanza tra fabbricati non possono essere derogate (Consiglio di Stato n. 3522/2016).

In conclusione, in materia di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei regolamenti locali e nell’art. 9 D.M. n. 1444/1968 essendo dettate a tutela dell’interesse generale, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati.